Articolo del 09/10/2015 21:09:23 di Maggioni Lorenzo

Agricoltura e zootecnia biologica, sistemi produttivi alternativi: punti di forza e criticità

Categoria: Agricoltura

L’agricoltura biologica è il risultato dello sviluppo di alcune correnti di pensiero (il metodo Rush-Muller, sviluppato in Svizzera; l’organic farming, nata in Inghilterra dalle teorie di Sir Howard; l’agricoltura biodinamica, comparsa in Germania su ispirazione di Rudolf Steiner) e di metodi alternativi di produzione adottati, sin dall’inizio del 1900 e aventi come obiettivo: la produzione di alimenti di alta qualità, almeno sotto il profilo della sicurezza alimentare, per l’aspetto attinente la ‘qualità chimica’ degli alimenti; la riduzione dell’impatto ambientale dei sistemi agricoli; la costruzione, per quanto possibile, di un ‘sistema chiuso’ con particolare attenzione al riciclo della sostanza organica e degli elementi nutritivi; la valorizzazione degli effetti benefici determinati dalla presenza di microrganismi, flora e fauna del suolo, piante e animali utili; il mantenimento della diversità genetica del sistema agricolo e dell’ambiente circostante; la manipolazione dei prodotti agricoli, con particolare attenzione ai metodi di trasformazione, mantenendo l’integrità biologica e le qualità essenziali del prodotto in tutte le varie fasi.

Dopo un interesse iniziale, questi metodi di produzione (sia vegetale che animale) hanno vissuto un lungo periodo di stasi per poi diffondersi ampiamente a partire dagli anni ’90.

La principale difficoltà nell’applicazione delle sopra-menzionate correnti di pensiero va ricercata nella particolare situazione economica venutasi a creare dalla Seconda Guerra Mondiale fino alla crisi petrolifera degli anni ’70, momento storico contrassegnato dalla diffusione a livello mondiale del protezionismo statale nel settore agricolo, dal fenomeno di concentrazione delle unità produttive e da un pesante processo di ‘industrializzazione’ delle tecniche di coltivazione ed allevamento, attuato attraverso la progressiva sostituzione del lavoro umano con l’impiego di input agro industriali (trattrici, macchine operatrici, fertilizzanti chimici, insetticidi, erbicidi, ecc.).

L’agricoltura biologica comincia a diffondersi nel corso degli anni ’80, quando la crescente consapevolezza dei consumatori, insieme all’emergere delle problematiche ambientali e di patologie legate ai sistemi di produzione agro-industriale intensivi, rafforzarono la necessità di trovare sistemi produttivi sostenibili dal punto di vista ambientale e del benessere animale.

Questo contesto favorevole si traduce, nel giugno 1991, nell’adozione del Regolamento CEE/2092/91 che va a definire le condizioni da rispettare affinché un prodotto agricolo o una derrata alimentare possano recare un riferimento al metodo di produzione biologico consentendo all’agricoltura biologica di collocarsi, in maniera credibile, sul mercato di nicchia rappresentato dai prodotti di qualità.

Purtroppo si dovranno attendere ben otto anni prima che anche il settore zootecnico e le sue produzioni vengano normate con l’introduzione del Reg. CEE/1804/1999 (attualmente modificato dal recente Reg. CE 834/2007 e dal suo attuativo Reg. CE 889/2008).

Oltre che dai presupposti e con gli obiettivi sopra-riportati, la zootecnia biologica nasce anche da forti motivazioni etico-sociali. In particolare, la ricerca di sistemi di produzione ed allevamento compatibili con uno sviluppo sostenibile e il rispetto del benessere animale. In altre parole un modello alternativo all’allevamento intensivo, tipico sistema di produzione impostosi nei cosiddetti Paesi economicamente ‘sviluppati’ a partire dal secondo dopo guerra.

Principi fondamentali della zootecnia biologica sono lo stretto legame con la terra (divieto degli ‘allevamenti senza terra’);l’alimentazione, che deve essere prevalentemente da agricoltura biologicail carico del bestiame (n. capi/ettaro) che deve essere commisurato alla superficie aziendale e/o comprensoriale per far sì che sia gestito in modo adeguato lo spandimento delle deiezioni per evitare l’inquinamento delle acque profonde e superficiali con sostanze azotate come i nitrati (in termini numerici il limite è di 170 kg N/ha anno e per le varie specie allevate è definito il numero massimo di capi ad ettaro).

Non meno importanti sono il benessere degli animali, garantito attraverso l’imposizione di pratiche zootecniche quali le condizioni di stabulazione, la scelta di razze autoctone, il numero di animali presenti nelle strutture dell’allevamento, la necessità di fare accedere gli animali a spazi all’aria aperta e/o a pascoli, il rispetto dei cicli produttivi delle diverse specie animali; l’uso di medicinali omeopatici per la cura delle malattie e il periodo di conversione in biologico degli animali allevati con il metodo convenzionale, che varia da specie e tipologia produttiva, e le modalità per l’eventuale inserimento di animali provenienti da allevamenti convenzionali.

Se i punti di forza dell’agricoltura e della zootecnia biologica risultano evidenti, la grande variabilità che contraddistingue la realtà zootecnica biologica in Italia (tipologia degli allevamenti, consistenza zootecnica aziendale, ecc.) non consente di tracciare facilmente una valutazione sulle criticità legate all’applicazione del metodo.

In linea generale, comunque, si può affermare che alcune pratiche (come ad es. i maggiori tempi richiesti per l’accrescimento degli animali nel rispetto dei loro cicli biologici), comportano maggiori problemi organizzativi per l’azienda biologica e che le aziende che hanno la necessità di acquistare mangimi e concentrati biologici subiscono un aumento dei costi di produzione derivanti dalla cospicua differenza nel prezzo di mercato dell’alimento biologico rispetto a quelli convenzionali.

Volendo, infine, disegnare un quadro dell’attuale situazione della agricoltura e della zootecnia biologica in Italia, si può dire che il nostro è sicuramente uno dei Paesi in cui il settore biologico ha incontrato maggiore fortuna. Nonostante il declino assoluto della superficie coltivata biologicamente, passata dai 1.237.640 ettari del 2001 all’attuale milione, l’Italia si conferma al primo posto Europa, sia per superficie totale biologica che per numero di aziende biologiche (49.859 nel 2005), mantenendo una posizione di tutto rispetto anche a livello mondiale.

Nel settore zootecnico, nonostante alcune differenze tra le diverse specie, si è assistito ad un tendenziale aumento del numero di capi allevati con metodo biologico, specialmente dal 2002 al 2005 (si veda tabella seguente).

In Lombardia, nel 2007, sono stati censiti 23193 ettari di Superficie Agricola Utilizzabile (SAU) biologica e un numero di  1342 operatori di cui 815 produttori (427 aziende biologiche; 43 aziende in conversione; 300 aziende miste); 524 preparatori; 3 raccoglitori di prodotti spontanei.

 

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