Articolo del 11/10/2015 12:12:24 di Furlani Alessandra

Territori rurali a rischio

proposte per un governo integrato degli ambiti fragili

Categoria: Agricoltura

Secondo l’annuale indagine elaborata alla Protezione Civile in collaborazione con Legambiente (dati dicembre 2011), in Italia l’82% dei comuni ha zone a rischio idrogeologico soggette, quindi, a frane, smottamenti, alluvioni e allagamenti.

In ambito nazionale, in ben 14 regioni oltre il 90% delle realtà comunali si trova in tale condizioni. Volendo scendere ad un maggior grado di dettaglio, l’indagine individua in tale contesto di fragilità strutturale diffusa le aree classificate ad alto rischio: queste interessano il 10% del territorio nazionale e in esse 5 milioni di cittadini convivono quotidianamente un elevato rischio idrogeologico. Rischio che la bulimia edilizia del decennio scorso e i cambiamenti climatici in atto hanno accentuato.

Le amministrazioni locali, in tempi di crisi economica e di stringente patto di stabilità, possono intervenire molto poco: si tenta di tamponare le emergenze esoltanto il 6% dei comuni a rischio indagati intraprende programmi continuativi di prevenzione, dedicati alla stabilità dei versanti, alla cura del reticolo idraulico minore, alla manutenzione puntuale dei territori e dei paesaggi fragili.

La manutenzione diffusa e la cura territoriale delle aree fragili del nostro montuoso Paese è stata svolta per molti secoli dal mondo agricolo: in collina e in montagna, ai terreni coltivati faceva da contorno il suolo meno produttivo e l’incolto (basti pensare al bosco, al pascolo, alle aree marginali) che le aziende agricole curavano, attuando una sorta di affido territoriale diffuso, senza trarne prodotti vendibili, ma solo modeste economie di autoconsumo.

Non vi è dubbio che da sempre, così facendo, gli agricoltori hanno reso alle comunità locali un grande servizio ambientale, puntuale e diffuso, contenendo di fatto il rischio idrogeologico naturale e garantendo la fruibilità concreta di questi ambiti delicatiE ora cosa accade? Chi ci pensa?

In meno di trent’anni, il 28% del territorio rurale (oltre 6,5 milioni di ettari di superficie agricola territoriale) è uscito della gestione diretta del settore agricolo; in collina e montagna la percentuale di abbandono per lo stesso periodo arriva anche al 50%. Che fine hanno fatto questi suoli? Chi se occupa, chi li tutela, chi li cura?

Si tratta di una realtà territoriale complessaaffrontabile solo grazie ad un piano strategico di governo del territorio che metta in sinergia competenze tecniche, capacità operative e attori agricoli locali, per il presidio e la gestione anche del territorio – sempre rurale, ma non più agricolo- che le circonda.

Un’importante occasione di riflessione e confronto sui temi del governo del territorio è stata promossa a Bologna, il 9 novembre scorso in occasione di Eima 2012, promossa da Promoverde, MIA (Multifunzionalità in Agricoltura) e dalla rivista Territori, in concerta con FederUnacoma e con il Patrocino del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

Partendo dall’analisi del contesto territoriale e dal Programma nazionale di prevenzione del rischio idrogeologico dell’Associazione Nazionale delle Bonifiche (ANBI), sono stati coinvolti nell’iniziativa la rappresentanza degli Enti Locali, il Ministero delle Politiche Agricole e l’ANBI, con l’obiettivo di avviare il percorso necessario a definire una proposta quadro nell’ambito del nuovo Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020, attualmente in fase di progettazione.

Dopo una panoramica sui cambiamenti territoriali in atto, basata sulla lettura dei dati censuari, Massimo Gargano, presidente di ANBI, ha sottolineato lanecessità per il Paese di cambiare modello di sviluppopuntando sul territorio italiano, che però è fragile e sottoposto quotidianamente all’assalto del cemento, uscendo dalla logica delle emergenze e del perenne stato di calamità. l’ANBI propone alle istituzioni un piano pluriennale per 5 mila interventi territoriali già cantierabili: si stima, infatti, che un Euro speso in prevenzione ne eviti cinque spesi nel tamponare le emergenze.

Giuseppe Blasi, capo dipartimento del Mipaaf e responsabile nazionale della programmazione del Piano di Sviluppo Rurale, ha evidenziato come i fondi comunitari siano l’unica fonte affidabile per la programmazione di interventi territoriali, tenendo tuttavia presente che con le risorse del PSR si può agire solo su una porzione minima di territorio. Oggi però, a livello di governativo, sta maturando una nuova sensibilità sulla necessità di ripresa in carico delle aree interne oggetto di abbandonose a livello di politica agricola la condizionalità e il greening sono realtà, oggi è necessaria una politica integrata con fondi specifici dedicati al governo territoriale.

Gianluca Cristoni, presidente di Promoverde (associazione che promuove l’integrazione tra il verde, l’agricoltura, l’alimentazione attraverso una gestione  multidisciplinare) ha sottolineato la necessità di un dialogo continuo tra agricoltura, sue funzioni e i mondi di matrice urbana, sottolineando la centralità dell’azienda agricola nel rispondere alla grande richiesta di green che arriva dalle diverse componenti della società e ha illustrato il progetto ABC– Agri Business Clubun network che raggruppa le aziende agricole già oggi pronte a fornire servizi territoriali.

L’iniziativa è stata conclusa da Paolo De Castro, presidente della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento Europeo, il quale ha sottolineato quanto l’Italia rispetto ai diversi ambiti dell’Unione Europea sia in ritardo nella valorizzazione della proprie risorse territoriali.

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