Articolo del 09/10/2015 14:02:38 di . . .

L’evoluzione delle forme di allevamento nella cerasicoltura specializzata

Categoria: Agricoltura
 

A cura di Stefano Lugli e Stefano Musacchi, funzionari tecnici del Dipartimento Colture Arboree – Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Su gentile concessione degli autori e dell’Università

La coltivazione del ciliegio si sta orientando da alcuni anni verso un aumento delle densità d’impianto, pur se questo richiede di risolvere alcuni aspetti storicamente problematici di questa coltura: una naturale tendenza degli alberi a raggiungere grandi dimensioni; una spiccata acrotonia delle piante, con habitus vegetativo per lo più assurgente; un periodo improduttivo iniziale– conseguenza dell’elevata vigoria– relativamente lungo. La messa a punto di strategie di conduzione dei ceraseti per l’alta densità è stata resa possibile grazie ai progressi conseguiti nelle tecniche di allevamento e conduzione delle chiome, ed all’ottenimento di portinnesti clonali dotati di gradi crescenti di controllo della vigoria. Dunque si può considerare ormai aperta e ben tracciata anche nel ciliegio dolce la strada della innovazione strutturale degli impianti verso l’aumento delle densità di piantagione rispetto a quelle tradizionalmente concepite come valide per il ciliegio.

Vecchie forme libere

Vecchie forme libere

Scelte integrate

Nella scelta del modello di impianto di un ceraseto– e dunque della forma di allevamento, delle distanze e delle densità di piantagione – intervengono diversi fattori, come la vigoria indotta dal portinnesto, quella propria della varietà, il grado di fertilità del terreno, la disponibilità idrica e nutrizionale, le tecniche colturali, la possibilità di meccanizzare alcune operazioni, l’ampiezza e la giacitura dell’appezzamento e, non ultimo, il livello di organizzazione aziendale e il grado di professionalità del produttore. Questo nuovo approccio verso densità d’impianto maggiori è stato fortemente supportato dalla possibilità di utilizzare varietà con caratteristiche agronomiche innovative rispetto alle tradizionali (precoce entrata in produzione, habitus compatto e/o spur, autofertilità, elevata qualità e pregevoli caratteristiche merceologiche del frutto, costanza produttiva, ecc.), portinnesti capaci di controllare la vigoria delle piante (soggetti semi-nanizzanti e nanizzanti) e tecniche di coltivazione in grado di guidare e gestire efficacemente la produzione (forme d’allevamento, potatura, concimazione, irrigazione, ecc.).

Vantaggi e limiti dei sistemi intensivi

L’attuale tendenza è di concepire un modello d’impianto che sia in grado di coniugare qualità, quantità e standardizzazione del prodotto nell’ottica di una gestione quanto più economica e competitiva del ceraseto. Comunque, occorre fare attenzione affinché i vantaggi immediati offerti dall’applicazione di densità di piantagione più alte non facciano passare in secondo piano i possibili rischi a cui il ceraseto potrà andare incontro più tardi.

L’applicazione dei criteri e tecniche di conduzione per l’alta densità consentono di ridurre sia la mole degli alberi che il periodo improduttivo e di aumentare la resa produttiva unitaria. Tutto ciò si traduce in una migliore governabilità delle piante da terra, una maggiore razionalità d’impiego dei prodotti fitosanitari e dei concimi, una maggiore efficienza d’impiego delle macchine irroratrici e dei cantieri di lavoro. L’alta densità consente di contenere i costi di mano d’opera complessivi (potatura e soprattutto raccolta), di ridurre il periodo degli ammortamenti, di ottimizzare l’impiego dei mezzi tecnici portando alla riduzione dei costi colturali. Di conversa è necessario sottolineare alcuni elementi di rischio: aumento degli investimenti iniziali, maggiori difficoltà a conservare nel tempo l’efficienza produttiva del ceraseto e la qualità delle ciliegie, riduzione della longevità del frutteto.

Facendo riferimento allo schema di seguito riportato relativo alle densità d’impianto consigliate per il ciliegio dolce, si può affermare che i ceraseti con meno di 300 piante/ha (bassa densità) non vengono più realizzati perché legati a una concezione ormai obsoleta di frutteto e incongruenti con le potenzialità offerte dalle moderne tecnologie. Anche gli impianti ad altissima densità (> 2000 piante/ha) non sono almeno per ora da prendere in considerazione, se non a livello sperimentale. Infatti, diversi fattori necessitano di un’analisi più approfondita per eliminare tutte le incertezze sul comportamento produttivo dei ceraseti ultrafitti nel tempo e affinare la tecnica di gestione complessiva dell’impianto.

vantaggi limiti sistemi intensivi cerasicoltura

L’indirizzo generale seguito nella realizzazione dei nuovi ceraseti italiani è la media densità (400-500 albero/ha) e la densità medio-elevata (600/800 albero/ha). Tali modelli di impianto meglio si integrano con le nostre condizioni pedo-climatiche, il livello professionale e la dotazione di mezzi tecnici delle aziende cerasicole italiane.

Scelta delle distanze di piantagione

La distanza d’impianto ha un ruolo importante, spesso sottovalutato, nell’architettura dell’impianto dato che la sua influenza sulla funzionalità del ceraseto si manifesta, in genere, avanti negli anni, quanto diventa molto difficile, se non impossibile, effettuare degli eventuali interventi correttivi.

La distanza tra le file in genere è poco variabile, in quanto definita essenzialmente da due fattori principali; la presumibile altezza delle piante adulte (occorre garantire una buona illuminazione anche alla zona basale della chioma) e lo spazio necessario per l’uso dei mezzi meccanici. Questo si traduce, per gli impianti a medio e medio-alta densità, in distanze tra le file variabili da 5,0 a6,0 m, a seconda del modello d’impianto considerato.

La distanza sulla fila varia notevolmente in funzione della vigoria espressa dalle piante (derivante dall’interazione cultivar/portinnesto), della forma d’allevamento, della potatura adottata, ecc. Ogni forma di allevamento raggiunge il suo optimum di efficienza con appropriate distanze di piantagione , dunque la loro scelta è fondamentale.

Le forme di allevamento da adottare negli impianti moderni devono favorire il rapido sviluppo della chioma al fine di massimizzare nel più breve tempo possibile l’intercettazione luminosa. E’ necessario guidare ed eventualmente correggere con opportuni interventi lo sviluppo spaziale della chioma evitando la creazione di zone d’ombra, causa, spesso, di effetti negativi sulla produzione e sulla qualità dei frutti. Con l’aumento della densità d’impianto e la progressiva riduzione delle dimensioni della pianta occorre sempre maggior attenzione alla distribuzione e all’estensione della superficie fogliare attiva (foglie di luce) di ogni albero perché da essa dipendono le performance produttive del ceraseto. La forma della chioma deve inoltre plasmare l’albero secondo il suo habitus vegetativo naturale, deve tenere conto della risposta dell’albero all’ambiente e alla potatura e deve, in ultima analisi, rispondere ai criteri di economicità per quanto riguarda la sua conduzione sia in fase di allevamento che di produzione.

Evoluzione dei sistemi di impianto

La coltivazione del ciliegio è stata tradizionalmente legata ai frutteti estensivi, spesso promiscui, in cui le piante venivano considerate come una serie di elementi isolati. Nei moderni impianti, volti all’alta densità, si afferma invece l’albero inteso come porzione costitutiva di un filare continuo produttivo. S’intende cioè creare una ‘parete fruttifera’, all’interno della quale, una volta entrata in piena produzione, non sono più presenti soluzioni di continuità.

Gli interventi di potatura mirano ad eliminare le difformità di struttura delle piante e garantire l’equilibrato sviluppo delle ramificazioni (nel ciliegio occorre prevenire il rapido invecchiamento delle formazioni fruttifere e la perdita di vegetazione della zona centrale-basale, della chioma).

Per gli impianti fino a 500 alberi/ha possono essere adottate con successo sia le forme in volume, come il vaso e le sue varianti ‘vaso basso’, ‘slanciato’ e ‘ritardato’, sia le forme in parete come la ‘palmetta irregolare’ e la ‘bandiera’. Le forme in volume sono diffuse un po’ ovunque in Italia mentre molto più limitata è la diffusione delle forme in parete che trovano un notevole impiego nei terreni pianeggianti dell’area vignolese. Per le densità fino a 1000 alberi/ha ed oltre sono indicate altre forme di allevamento come il fusetto, e le sue varianti, l’ipsilon trasversale e la forma a V.

evoluzione sistemi impianto cerasicoltura

Tipologie di impianto

Le forme di allevamento e le tecniche di potatura adottate per il ciliegio hanno subito nel tempo profonde modifiche, adattandosi con notevole plasticità alle diverse esigenze della cerasicoltura e alle condizioni tecniche e socio – economiche delle diverse aree produttive. I trend attuali vanno verso tipologie di strutture e, più in generale, verso sistemi di impianto tendenti ad agevolare quanto più possibile l’esecuzione delle operazioni colturaliin primo luogo la raccolta.

La plasticità del ciliegio si può verificare considerando le diverse soluzioni di impianti proposte, che sono alquanto diversificate e applicabili a differenti condizioni aziendali e operative. Tenuto conto della dimensione aziendale, del grado di meccanizzazione e della disponibilità di manodopera, della destinazione finale del prodotto, la scelta può ricadere:

  1. su forme appiattite, dove la chioma ha uno spessore limitato ed è sviluppata secondo un piano verticale (parete continua). In queste forme la raccolta viene normalmente effettuata mediante l’impiego di carri a piattaforme laterali. Rientrano tra queste forme la palmetta e la bandiera;
  2. su forme in volume, dove la chioma è meno sviluppata in altezza che in spessore e larghezza. Si cerca qui una forma in grado di fruttificare il più vicino possibile a terra, compatibilmente con le esigenze degli interventi tecnici da effettuare sotto chioma. La raccolta viene effettuata per lo più da terra o con l’utilizzo di piccole scale. Rientrano tra queste forme il vaso e il vasetto catalano o vaso basso a branche multiple e sue varianti;
  3. su forme ibride, inizialmente concepite come in volume, ma in grado di costituire pareti fruttificanti continue, dove quindi la pianta è più libera di crescere in altezza.
  4. In base alla vigoria del portinnesto, la raccolta viene eseguita in parte da terra o con l’utilizzo di piccole scale oppure su carri a piattaforme laterali. Rientrano tra queste forme il fuso libero, il fusetto e l’allevamento a ‘solaxe’.
  5. su altre forme di allevamentoadatte a impianti intensivi ad alta o altissima densità di piantagione con portinnesti nanizzantiin grado di creare pareti fruttifere gestibili completamente da terra(frutteti pedonali). Rientrano in questa tipologia le forme a parete singola come l’asse centrale o cordone e le forme a doppia parete inclinata come l’Y trasversale (‘Tatura trellis’) e il V trasversale.

1) Forme a parete verticale

Le due forme di allevamento rientranti in questo gruppo (palmetta e bandiera) hanno in comune lo scarso spessore della chioma e una struttura scheletrica indirizzata prevalentemente nella direzione del filaretale da ridurre, quanto più possibile, lo sviluppo in larghezza della chioma. Entrambe le forme richiedono una struttura di sostegno (pali e fili) per poter effettuare le legature delle branche con il giusto angolo di crescita.

PalmettaLa palmetta è una forma classica in parete, normalmente costituita da 3-4 palchi di branche, adatta a terreni di pianura o di bassa collina; richiede un certo vigore e una crescita abbondante per la sua formazione, in risposta ai numerosi e ripetuti tagli che l’allevamento della pianta richiede. Di norma occorrono 3-4 anni per completare la struttura dell’albero. L’habitus di vegetazione del ciliegio si adatta bene a questa forma.

PALMETTA

Forma di allevamento a palmetta

Occorre impostare robuste branche primarie intervenendo con tagli di raccorciamento partendo dall’astone per ottenere il primo palco, e poi sulla freccia per i palchi successivi.

La moderna palmetta è piuttosto libera e consente una certa crescita della vegetazione anche nella direzione dell’interfilare con rami e corte branchette produttive disposte in modo irregolare lungo l’asse e sulle branche primarie, cercando di mantenere un leggero gradiente conico alla pianta.

Le distanze di piantagione variano in funzione della vigoria propria della varietà, di quella indotta dal portinnesto e della fertilità del terreno: tali distanze possono variare da 5,5 a4,5 m tra i filari, da 4,5 a3,5 m sulla fila con portinnesti vigorosi, fino a scendere a 3,0 o 2,5 m qualora si utilizzino soggetti semi-nanizzanti o nanizzanti.

Trattandosi di una specie fortemente acrotona, con questa forma, una volta raggiunta la piena produzione, è importante mantenere equilibrati i palchi e alleggerire le cime, altrimenti troppo invadenti, privilegiando a questo scopo la potatura estiva.

Il mantenimento di elevati livelli di qualità dei frutti nelle varietà più fertili viene garantito da tagli di raccorciamento effettuati sulle branche terziarie tendenti a accelerare il rinnovo delle formazioni fruttifere.

BandieraApplicata per la prima volta in Francia negli anno ’60-’70 nell’allevamento del melo e del pero (‘Drapeau Marchand’), la bandiera è stata più recentemente utilizzata nel ciliegio nel tentativo, riuscito, di contenere la dimensione degli alberi, di anticipare la loro entrata in produzione rispetto ad altre forme a parete come la palmetta.

BANDIERA

Forma di allevamento a bandiera

Nella bandiera lo scheletro dell’albero è costituito da un asse principale inclinato con una gradazione variabile (da 30 a 45° secondo le distanze adottate sulla fila) e portante un certo numero di branche allevate inclinate in direzione opposta a quella dell’asse principale e inserite su questo con un angolo di circa 85-90°.

Orientativamente, i sesti di impianto consigliati per la bandiera possono variare dai 5,5 ai 4,5 m tra i filari e dai 5 ai 3 m sulla fila. Anche questa forma richiede una struttura di sostegno costituita da pali e 2-3 fili.

2) Forme in volume

Le forme in volume adottate nel ciliegio sono riconducibili a un vaso, più o meno libero. Questa forma, che deriva da quella libera (o naturale) un tempo largamente diffusa nella frutticoltura promiscua, è ancora presente nei ceraseti specializzati realizzati fino agli anni ’90; in quelli più recenti la forma a vaso tradizionale è stata in gran parte sostituita dal vasetto basso a branche multiple e, più recentemente, dal vaso multiasse.

VASO

Forma di allevamento a vaso

Vaso classicoLa struttura scheletrica del vaso classico è costituita da un tronco da cui, all’altezza di 70-80 cm dal suolo, si dipartono generalmente tre (più raramente quattro) branche primarie sulle quali sono inserite alcune branche secondarie di vario ordine a distanze diverse a seconda della vigoria degli alberi. Rispetto all’asse verticale le branche primarie sono disposte radialmente a 120° (se tre) o a 90° (se in numero di quattro) l’una dall’altra e inclinate di circa 35-40°. Quelle seco ndarie risultano più inclinate delle prime e dirette obliquamente in modo da occupare gli spazi esistenti tra le branche primarie. Ciascuna branca secondaria è poi rivestita di branchette di sfruttamento e di produzioni fruttifere (dardi, rami misti e brindilli). Nel vaso tradizionale, se la potatura di allevamento viene eseguita correttamente, la chioma assume una forma finale tendenzialmente troncoconica,internamente spoglia di vegetazione. Il tempo necessario per completare la struttura di una forma a vaso classico può variare dai 3 ai 5 anni in relazione alla vigoria degli alberi e al numero di branche secondarie voluto. Orientativamente, le distanze di piantagione consigliate per le forme a vaso, con portinnesti tradizionali, variano dai 6 ai 5 m tra le file e dai 6 ai 4 m sulla fila.

Vasetto bassoIl vasetto basso è una forma di allevamento particolarmente indicata per il ciliegio, costituita da un tronco piuttosto corto sul quale sono inserite più branche principali (da 3 a 5) con ampio angolo di inserzione (80°) e p ortanti più branchette fruttifere in posizione quasi orizzontale, con lunghezza decrescente dalla base verso l’apice dell’albero. Per assicurare una ramificazione abbondante (la forma è conosciuta anche come vasetto basso a branche multiple), secondo le due tecniche di allevamento di seguito descritte, si interviene nei primi anni con ripetuti tagli per lo più al verde (nel vasetto basso catalano) o al bruno (nel vaso basso modificato). con tagli di raccorciamento effettuati sui rami destinati a formare le branche principali e secondarie. Al termine del periodo di allevamento dell’albero (normalmente al 3°-4° anno) si ottiene una forma “a cespuglio”, globosa, che verrà man mano svuotata internamente. Con questa forma, che non richiede strutture di sostegno ed è di facile formazione, vengono ridotte le dimensioni finali delle piante rispetto alle forme a vaso tradizionale, gli alberi entrano più precocemente in produzione, specialmente dove si fa ricorso alla potatura verde. Il vaso basso è adatto a densità di piantagione medie o medio alte; le distanze di impianto dipendono dalle condizioni di fertilità del terreno, dalla disponibilità idrico-nutrizionale e dalla combinazione varietà/portinnesto: possono variare da 5 a4 m tra i filari e da 4 a3 m sulla fila. Di norma, per questa forma, si utilizzano portinnesti vigorosi o semi-nanizzanti. Al vasetto basso afferiscono due varianti: il vaso basso catalano e il vaso basso modificato.

  • Vaso basso catalanoLa potatura di allevamento di questa forma privilegia gli interventi al verde. Di conseguenza questo modello trova facile applicazione negli ambienti, come quelli meridionali, dove la crescita vegetativa è generalmente prolungata oltre l’estate. La forma a vaso basso necessita di terreni piuttosto fertili, irrigui e portinnesti di buona vigoria.
  • Vaso basso modificatoIn linea di massima si tratta della stessa tecnica adottata per il vaso basso catalano, con la differenza che gli interventi di raccorciamento vengono eseguiti unicamente con la potatura invernale. Tale forma è particolarmente indicata negli ambienti collinari, dove la pendenza del terreno rende le forme a parere difficilmente gestibili, o più in generale, nelle aree dove la vigoria e lo sviluppo delle piante sono contenuti perché i terreni sono meno fertili e l’irrigazione non sempre disponibile. In queste condizioni non solo non è necessaria, ma può risultare sconveniente l’esecuzione di interventi di potatura al verde.

Vaso multi-asseLe forme a vaso o a vasetto basso utilizzano la potatura di raccorciamento per dare la forma alla pianta, per limitarne l’altezza e per regolare la produzione. Il limite principale di questa tecnica, che prevede l’eliminazione di buona parte del legno giovane (germogli e rami), è l’allungamento della fase giovanile degli alberi e il conseguente ritardo nell’entrata in produzione. Nel vaso multi-asse viene privilegiata invece la potatura “lunga” (la branche non sono raccorciate) che, insieme a alcuni interventi di piegatura di rami e branche, porta a un anticipo nella messa a frutto delle piante, dovuto a una più precoce ed intensa differenziazione delle formazioni fruttifere (dardi). L’inconveniente principale di questa tecnica è che porta spesso a un sovraccarico di frutti: interventi di potatura come l’eliminazione o il raccorciamento delle branchette a frutto in eccesso spesso non sono sufficientemente risolutivi. In questi casi, la regolazione del carico dei frutti dell’albero si effettua attraverso l’estinzione artificiale dei dardi in sovrannumero. Nelle operazioni di curvatura-piegatura dei rami e delle branchette molta attenzione viene rivolta al vigore proprio della varietà e a quello indotto dal portinnesto: normalmente, le piegature saranno di intensità (ovvero: angolo) tanto maggiore quanto la varietà sarà vigorosa e lenta nella messa a frutto. Va però considerato che inclinazioni eccessive possono annullare la crescita e sbilanciare l’equilibrio vegeto-produttivo verso una eccessiva formazione di gemme a fiore e quindi di frutti. Nelle varietà con portamento assurgente, piegature eccessive possono inoltre favorire l’emissione di germogli eccessivamente vigorosi (dunque inutili) in corrispondenza dei punti di massima curvatura. Nella realizzazione di ceraseti specializzati e intensivi con gestione delle piante per lo più da terra, i concetti del vaso multi-asse trovano le migliori applicazioni con portinnesti della classe dei semi-nanizzanti, o, comunque, meno vigorosi del franco o del Santa Lucia e su terreni non eccessivamente fertili.

3) Forme derivate

Si tratta di forme di allevamento relativamente nuove per il ciliegio, mutuate per molti aspetti dal melo e dal pero, pur con le opportune differenze legate al diverso habitus vegetativo e produttivo del ciliegio. Con queste forme si realizzano pareti fruttificanti continue per impianti a densità di piantagione medio-alte o alte, secondo il portinnesto utilizzato. Consentono la formazione di piante con dimensioni relativamente contenute, di precoce ed elevata produttività.

FusettoLa forma a fusetto, sviluppatasi inizialmente in Germania, avvalendosi di portinnesti semi-nanizzanti o nanizzanti, è in grado di contenere lo sviluppo del ciliegio in una forma verticale, conica, gestibile pressoché interamente da terra. Si adatta bene alle alte densità di piantagione (800-1.200 alberi/ha) e le distanze di impianto possono variare, a seconda della vigoria del portinnesto e della varietà, della fertilità del terreno e della tecnica colturale adottata, da 5 a4,5 m tra i filari e da 3 a1,5 m sulla fila. Le piante entrano precocemente in produzione e le rese produttive/ha sono in genere elevate. La forma necessita di una struttura di sostegno (pali e fili); inoltre, almeno nella fase iniziale di allevamento, è necessario un tutore (canna) di supporto per ogni singola pianta. La tecnica di allevamento è diversa secondo il materiale vivaistico di partenza: astone di un anno o pianta a gemma dormiente o innesto a dimora. La pianta ideale per un allevamento nella forma a fusetto dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: altezza di 180-200 cm, presenza media 6-8 rami anticipati (minima di 4) con lunghezza superiore a 40 cm, ben maturi, inseriti a un’altezza compresa tra i 70 e i 90 cm dal colletto, diametro del fusto sopra il punto di innesto di almeno 20 mm.

SolaxeSi tratta di una nuova forma di allevamento, ideata in Francia per il melo, adattabile a ceraseti intensivi, irrigui, preferibilmente realizzati con portinnesti seminanizzanti (Simard, 2006). L’allevamento avviene su un unico asse centrale, con curvatura sotto l’orizzontale delle branche fruttifere sulle quali vengono applicati i concetti della potatura lunga e dell’estinzione dei dardi. Il concetto del Solaxe integra la progressiva formazione della pianta nel tempo con la perennità delle formazioni fruttifere future. La pianta allevata con questo sistema presenta una forma assiale evolutiva verso l’acrotonia con un portamento più libero e naturale. Sull’asse centrale, che viene lasciato integro, sono inserite le branche fruttifere, anch’esse lasciate integre, dunque mai raccorciate o semplificate. Durante lo sviluppo, le branche si rivestono di formazioni fruttifere (dardi). In questo modo la pianta raggiunge, molto velocemente e in modo naturale, un equilibrio tra l’accrescimento vegetativo e l’entrata in produzione, senza dover intervenire con operazioni di potatura di costruzione della pianta. Con il sistema a Solaxe la pianta assume un aspetto che evolve dalla forma a cono, tipica del fusetto, a quella procombente, come un salice piangente, poiché le branche, a causa degli interventi di piegatura o del peso dei frutti, si orientano verso il basso.

4) Forme per impianti a alta o altissima densità

Pur conservando in molte realtà la loro validità tecnica ed economica, le forme di allevamento classiche a parete (palmetta e bandiera) e in volume (vaso o vasetto basso) vengono sempre più affiancate da nuove forme realizzabili anche nel ciliegio grazie alla disponibilità di portinnesti nanizzanti o semi-nanizzanti. L’incremento della densità di piantagione ha modificato, in certi casi radicalmente, i criteri di formazione e di allevamento delle piante, tendenti a costituire pareti continue fruttificanti disposte su un’unica parete (forme a asse colonnare) o su una doppia parete (forme a V o a Y trasversale). Queste forme consentono di realizzare impianti intensivi con gestione delle principali operazioni colturali, come raccolta e potatura, totalmente da terra. Non a caso, in Francia, queste tipologie di impianti vengono definiti “verger pieton” (frutteti pedonali).

Asse colonnare o cordone. E’ una forma per ceraseti intensivi (1000-1500 alberi/ha) o superintensivi (fino a 5000 alberi/ha); il cordone altro non è che un fusetto modificato, con uniforme rivestimento di branchette fruttifere di uguale ed equilibrata vigoria, inserite direttamente sull’asse centrale permanente. Con portinnesti nanizzanti, l’altezza massima raggiunta da questa forma non supera normalmente i 2-2,5 m. Richiede una struttura di sostegno con pali e almeno un paio di fili. Le distanze di impianto possono variare dai 4 ai 3,5 m tra le file e da 1 a0,5 m sulla fila. Il cordone è facilmente ottenibile partendo da astoni “lisci”, di altezza adeguata, oppure da piante ramificate, provviste di numerosi e corti rami anticipati. Gli interventi di potatura dell’asse colonnare si limitano all’asportazione di germogli troppo vigorosi o mal posizionati, raccorciamento delle branchette fruttifere troppo sviluppate, rinnovo delle stesse con tagli di ritorno, incisioni per favorire la formazione di germogli laterali.

Doppia parete inclinata. Le forme a doppia parete (Y e V trasversale) consentono la realizzazione di impianti di ciliegio intensivi, molto contenuti in altezza e gestibili quasi totalmente da terra, grazie alla disponibilità di portinnesti nanizzanti.

  • Y trasversale. Rispetto alla versione originale (Tatura trellis, dal nome della stazione sperimentale australiana Tatura, che ha ideato tale forma), la forma a Y adottata in Italia si differenzia per distanze di impianto minori tra i filari (4,0-5,0 m) e maggiori sulla fila (1,0-2,0 m); secondo la vigoria del portinnesto e la fertilità del terreno le densità di impianto possono variare dalle 1000 alle 2500 piante/ha. Ogni albero è costituito da due branche principali a V orientate ognuna in direzione opposta verso l’interfilare e inclinate dai 30° ai 45° rispetto a lla verticale. Le branche si dipartono dal tronco ad un’altezza di 50-60 cm. L’impianto può essere eseguito sia con astoni provvisti di un buon apparato radicale, sia con piante a gemma dormiente o con portinnesti innestati sul posto. Il sistema a Y prevede una doppia intelaiatura fissa di pali e fili; si presta bene alla realizzazione di impianti di ciliegio con coperture antipioggia del tipo a arco. L’astone viene cimato a 50-60 cm per ottenere l’emissione di germogli vigorosi; ne verranno scelti due tra quelli meglio orientati verso l’interfila. La loro inclinazione verrà ottenuta gradualmente mediante divaricatori o cavalletti. Altre operazioni nei primi anni dall’impianto riguardano l’eliminazione dei germogli posti dorsalmente alla branca principale e l’alleggerimento della cima (potatura al verde). Andrà quindi favorito lo sviluppo di branchette laterali in modo da ottenere, nel tempo, una doppia parete fruttificante continua. In produzione si provvederà al rinnovo delle branchette fruttifere.
  • Forma a V. Consente di intensificare ulteriormente le densità di impianto, potendo arrivare, nelle migliori condizioni pedologiche, a superare le 3000-5000 piante/ha, con distanze di 3,5-4,0 m tra i filari e 0,5-1,0 metro sulla fila. Si realizza mettendo a dimora astoni di un anno di innesto di sufficiente altezza (1,2-1,5 m), in posizione leggermente inclinata verso l’interfilare (15-20° r ispetto alla verticale) alternativamente in senso opposto lungo il filare. Anche questa forma necessita di una struttura di sostegno rappresentata da pali, fili e uno o due corti braccetti divaricatori. I criteri di allevamento e potatura sono identici a quelli dell’asse colonnare.

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