Articolo del 08/10/2015 16:04:36 di Ievoli Corrado

Cambiamenti strutturali e processi di modernizzazione in agricoltura

Categoria: Agricoltura

Su gentile concessione della Editrice Compositori

Il ruolo dell’agricoltura nella società umana ha subito nel corso dei secoli numerose modificazioni in funzione della evoluzione del sistema socio – economico nel suo complesso e in relazione ai meccanismi di adattamento che hanno caratterizzato il settore nel corso del tempo.

Non è, ovviamente, questa la sede per una disamina anche sommaria di tali modificazioni che compete alla ricerca storiografica. Tuttavia non va perso di vista il fatto che proprio un approccio storico permette di comprendere che quello che un tempo veniva inteso come agricoltura è molto diverso dal significato che il termine assume al giorno d’oggi e che questo significatopotrebbe cambiare considerevolmente nel prossimo futuro.

Si pensi, ad esempio, all’agricoltura di alcuni secoli fa, che rappresentava il settore principale di un sistema socio – economico che viene in genere indicato come economia degli autoriproduttori(Graziani, 1979). In tale modello organizzativo un novero molto consistente di attività di produzione e riproduzione delle risorse erano realizzate dentro i confini dell’azienda agricola. I mezzi di fertilizzazione (es. letame), le sementi, i capitali fissi, le macchine motrici (i buoi), etc. erano in gran parte realizzati in azienda. Le attività più propriamente produttive concernevano la realizzazione di prodotti vegetali ed animali, ma anche di fibre e legno.

Questi prodotti venivano in gran parte trasformati all’interno della famiglia agricola in alimenti (farine, formaggi, vino, olio, salumi, etc.), in tessuti (iuta, canapa, etc.), in mobili, ma anche in materie prime energetiche (es. carbonella).

Questo modello di agricoltura e azienda viene superato, come è noto, con l’industrializzazione, che comporto complessi processi di riorganizzazione capitalistica dell’agricoltura, con l’introduzione delle macchine e del lavoro salariato e l’uscita di ingenti risorse dal settore primario, in particolare lavoro, che andò a costituire quella che al tempo fu chiamata la classe operaia.

Sempre semplificando alquanto il discorso, nell’ambito di questi processi — in ossequio al principio della divisione del lavoro e in connessione con la prima grande applicazione alle attività in esame delle conoscenze scientifiche – si realizzò un primo grande fenomeno di trasferimento di importanti funzioni al di fuori dei cancelli dell’azienda agricolacon la nascita delle cosiddette industrie a monte (quelle produttrici di input agricoli quali sementi, concimi, fitofarmaci,etc.) e a valle (industrie alimentari, tessili, etc).

A seguito di tali processi, l’agricoltura vide diminuire il proprio peso nel sistema economico e si misero in moto ulteriori processi di riorganizzazione delle risorse presenti nel settore. Il modello di modernizzazione (van der Ploeg & van Dijk, 1995) che, soprattutto nel secolo scorso, ha guidato tale riorganizzazione è un modello basato su una concezione abbastanza riduttiva dell’efficienza, che la identificava in pratica con le economie di dimensione (o di scala come dir si voglia), intesa soprattutto in senso fisico (cioè misurata in termini di superficie aziendale). In sintesi l’obiettivo era quello di accrescere la produttività del lavoro agricolo (soprattutto familiare) attraverso l’utilizzazione di una maggiore superficie per unità di lavoro (crescita della dimensione fondiaria media e meccanizzazione) e incrementare la produttività della terra attraverso investimenti specifici e l’impiego di input esterni sempre più produttivi.

In tale modello – che portava alle estreme conseguenze la specializzazione produttiva fino a rasentare la monoattività (monocoltura) – le tecnologie assumono un carattere assolutamente esogeno al settore e vengono introdotte grazie ad un apparato tecnico-amministrativo(Benvenuti, 1989) pubblico e privato, anche attraverso la pratica della cosiddetta assistenza tecnica. Pochi spazi erano lasciati all’innovazione incrementale e a modelli organizzativi, messi in piedi autonomamente dagli agricoltori, che fossero difformi da quelli suggeriti da tale apparato.

Il modello di modernizzazione in questione, pur avendo assorbito ingenti risorse, non è stato capace di ridurre il divario di reddito tra l’agricoltura e gli altri settori e ha comportato una serie di effetti sfavorevoli – a cominciare dall’abbandono di molte aree marginali – sia sotto il profilo ambientale che sociale. Basti ricordare in tal senso la riduzione della biodiversità, la semplificazione e il degrado del paesaggio, e così via. In particolare vi è stata un’erosione delle competenze e delle conoscenze, in gran parte tacite, specifiche dei diversi contesti (levoli, 2002), rispetto a quelle elaborate nell’ambito del sistema scientifico e tecnologico agroindustriale (Vellante, 1990) etrasmesse attraverso una serie complessa di interazioni, di mercato e non, alle imprese agricole.

Tali effetti sfavorevoli – congiunti alla sua scarsa efficacia e ai suoi elevati costi sociali – hanno comportato un ripensamento sul modello di modernizzazione perseguito in agricoltura, anche in connessione con il riconoscimento dei cambiamenti che hanno nel frattempo caratterizzato l’evoluzione del sistema economico (Fuchs, 1968). Come è noto, infatti, nella seconda parte del Secolo scorso, nelle economie avanzate si realizza una complessa modificazione del sistema produttivo che si sostanzia, tra le altre cose, nella riduzione del peso dell’industria a favore del settore terziario. l servizi rappresentano attività che in molti casi interagiscono in maniera articolata con i settori produttori di merci (Momigliano – Siniscalco, 1982) e spesso costituiscono anche output congiunti di questi ultimi. L’economia post-industriale si caratterizza, inoltre, per l’emergere di nuovi bisogni e di nuove esigenze di consumo, anche sul versante del rapporto con la natura, e per nuovi modelli di sviluppo non più accentrati sotto il profilo spaziale e aziendale, ma caratterizzati in senso reticolare.

In quest‘ambito come fattori di competitività assumono particolare rilievo — piuttosto che la dimensione della singola impresa – isuoi legami con gli altri attori socio – economici, in particolare con le aziende a essa collegate da un progetto e finalità comuni. In altri termini nel nuovo quadro post-fordista (Rullani – Romano 1998) contano sempre più i sistemi di imprese, intesi non solo nella tradizionale concezione di gruppi societari, ma anche come filiere (Malassis, 1979; Laurent, 1983; Bellon, 1984) e, su base territoriale, come sistemi locali, fattispecie peculiari dei quali possono essere considerati i distretti industriali (Becattini, 1987; Becattini — Rullani, 1993). Come ampiamente evidenziato in letteratura i processi in questione interessano la stessa agricoltura e il territorio rurale, dove è possibile considerare l’esistenza dei distretti agricoli, agroalimentari e rurali (Iacoponi, 1990; 2002).

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