Articolo del 08/10/2015 16:04:07 di Vavassori Angelo

Produzione vivaistica , piante autoctone e biodiversità

Categoria: Agricoltura

La biodiversità vegetale è unanimemente riconosciuta come un naturale patrimonio biologico, al pari del patrimonio culturale e paesaggistico. La consapevolezza di tale patrimonio ha risvegliato l’interesse e le attività attorno alle problematiche della conservazione, miglioramento e propagazione del materiale vegetale, ovvero delle attività vivaistiche, sia da parte degli Enti pubblici sia da parte delle aziende private.

Nell’ambito dei rispettivi ruoli, in qualità di Enti pubblici o come privati imprenditori, la tematica della conservazione, o meglio della produzione della biodiversità, merita una rinnovata attenzione e investimenti nella filiera vivaistica specialistica delle piante autoctone e migliorate, anche attraverso i protocolli di coltivazione e certificazione.

Riferimenti normativi e programmatori generali per la tutela della biodiversità

La produzione e l’utilizzazione di materiali vegetali autoctoni di qualità nei lavori di forestazione, ingegneria naturalistica, sistemazione del paesaggio ecc. possono essere inquadrate nella più ampia ematica della tutela delle biodiversità, che può contare su importanti riferimenti nel diritto internazionale nei programmi comunitari e nazionali, maturati negli ultimi decenni.

La Convenzione di Rio di Janeiro del giugno 1992, ratificata dalla Comunità europea con Decisione del Consiglio 93/626/CEE del 25.10.1993, tutela la diversità biologica a tre livelliecosistemispecie e popolazioni intraspecifiche (v. art.2).

In particolare, ai sensi dell’art.8, lett. h), “ogni Parte contraente vieta di introdurre specie esotiche, oppure le controlla e le elimina se minacciano gli ecosistemi, gli habitat e le specie”.

Analogamente, la Direttiva 92/43/CEE “Habitat” del 21.5.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e fauna selvatiche, all’art.22, lett. b), dispone che “gli Stati membri controllano che l’introduzione nell’ambiente naturale di una specie non locale del proprio territorio sia disciplinata in modo tale da non arrecare alcun pregiudizio agli habitat naturali nella loro area di ripartizione naturale né alla fauna ed alla flora selvatiche locali equalora lo ritengano necessariovietano siffatta introduzione”.

Il VI Programma comunitario di azione in materia ambientale, approvato con Decisione del Consiglio n.1600/2002/CE del 22 luglio 2002, elabora in modo più preciso il concetto di specie esotiche di cui alla Convenzione di Rio e fissa precisi obiettivi ed azioni prioritarie. Infatti l’art.6 (Obiettivi ed aree di azione prioritarie per l’ambiente naturale e la diversità biologica):

- tra gli obiettivi prioritari comprende di “arrestare il deterioramento della diversità biologica, al fine di raggiungere questo obiettivo entro il 2010, segnatamente prevenendo e riducendo l’effetto di specie e di genotipi invasivi esotici”;

- tra le azioni prioritarie comprende “elaborare misure dirette a prevenire e controllare le specie invasive esotiche, ivi compresi i genotipi esotici”.

L’attenzione viene, quindi, portata sull’aspetto che appare oggi più preoccupante , ossia l’inquinamento genetico intraspecificonon facilmente distinguibile dall’aspetto morfologico di piante apparentemente simili a quelle presenti in natura nelle zone dove vengono messe a dimorama provenienti da altre regioni e quindi con un patrimonio genetico diverso.

Sullo stesso tema si esprime anche il Programma approvato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio in data 15.7.2002Strategia d’azione ambientale, ma in modo più sfumato. Infatti al Capitolo 4 Natura e biodiversità, punto 124, preso atto che “la biodiversità è minacciata anche dall’impatto delle specie esotiche importate sulle comunità autoctone”, si afferma che “in base all’acquisizione di dati scientifici, si potranno in seguito definire i diversi aspetti legislativi di questa problematica emergente, legati all’introduzione volontaria od occasionale di specie potenzialmente invasive o dannose per l’ambiente italiano. Molto può essere fatto in questo campo mediante opere di prevenzione della diffusione anche non intenzionale e di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica”.

Domanda delle piante autoctone e certificate

La domanda di materiale riproduttivo di qualità, con caratteristiche di provenienza differenti rispetto a quanto fino ad ora presente sul mercato, si evince dall’esigenza di tutela della biodiversità e dell’impiego di materiale vegetale autoctono e quindi geneticamente compatibile e rappresentativo di ecotipi locali. Più concretamente, tale necessità, che come si è visto è sancita da varie Convenzioni e Direttive internazionali, trova oggi espressione sempre maggiore in Lombardia in vari ambiti progettuali e di costruzione delle qualità del territorio :

  • nelle prescrizioni poste ai progetti di mitigazione e compensazione di grandi opere infrastrutturali;
  • nelle prescrizioni poste a progetti di grande impatto sul territorio (es.: cave, );
  • più in generale, in tutto quanto rientra nelle procedure di V.I.A.;
  • negli interventi di gestione naturalistica direttamente effettuati dagli enti gestori delle aree protette;
  • negli indirizzi forniti per la realizzazione della Rete Ecologica Regionale e locale e per l’esecuzione di interventi di ingegneria naturalistica;
  • nei Regolamenti del Verde di Comuni virtuosi che, al fine di tutelare e valorizzare il verde extraurbano esistente di tipo estensivo naturalistico o rurale , indicano come preferibile la scelta delle specie autoctone.

Questi aspetti, uniti a una crescente informazione e sensibilizzazione dei progettisti e dei tecnici degli enti locali, sta di fatto sviluppando ulteriormente la domanda, anche in connessione alle funzioni ordinarie degli enti locali in materia di opere a verde; in particolare, nelle numerosissime prescrizioni imposte dalla DG Qualità dell’Ambiente e dagli enti gestori delle aree protette lombarde (con specifico riferimento a parchi, riserve, SIC, ZPS), sia in tema di Valutazione di Incidenza, sia in tema di Autorizzazioni Paesaggistiche.

In questo contesto risultano importanti delle Linee guida per la tutela della vegetazione e della flora nelle aree protette , che contengono una precisa proposta di regolamento, dovendo essere redatte nel rispetto deiprincipi dall’art. 4, comma 6 della l.r. 86/83, come sostituito dalla lettera b del terzo comma dell’art. 24 dellal.r. 27/04, ossia consente alla Regione di definire “…con regolamento i criteri, le disposizioni e i vincoli per ladifesa, la gestione, la rinnovazione e lo sviluppo della flora erbacea nemorale e della vegetazione in aree non boscate”.

Il regolamento, che si applica a tutto il sistema delle aree protette lombarde (parchi naturali,parchi regionali, riserve naturali, monumenti naturali, zone di particolare rilevanza naturale e ambientale,parchi locali di interesse sovracomunale, rete ecologica europea Natura 2000)potrà interessare complessivamente almeno il 30% del territorio lombardo in relazione a tutti i popolamenti arborei, arbustivi ed erbacei naturali e seminaturali che non costituiscono bosco ai sensi della legge forestale regionale,inclusa la flora erbacea nemorale dei boschi. Le tipologie di intervento cui si applicherà il regolamentocomprendono la gestione degli ambienti naturali e seminaturali, gli interventi di riqualificazione ambientale(inclusi il recupero di cave, discariche, aree dismesse, ecc.), di ingegneria naturalistica, di compensazioneecologica, di rinaturazione e riqualificazione floristica e vegetazionale, di miglioramenti ambientali quali lapiantagione di siepi e alberature, il ripristino di corpi idrici e simili. Il regolamento contiene precise prescrizioniche impongono, nel rispetto di una gradualità realistica dei vincoli, l’impiego di piante autoctone certificate.

Si deve infine evidenziare che la Legge Regionale 31 marzo 2008, n.10 Disposizioni per la tutela e la conservazione della piccola fauna, della flora e della vegetazione spontanea vieta l’introduzione di specie vegetali alloctone negli ambienti naturali lombardi: di qui discende l’ovvia necessità di piante autoctone idonee.

Sulla base di quanto accennato, non c’è quindi nessun dubbio che allo stato di fatto esista già una notevole domanda di piante autoctone, cui i diversi operatori tentano di rispondere con le attuali risorse del mercato, si deve ritenere inoltre che nel prossimo futuro tale domanda sia destinata ad aumentare.

Fermo restando quanto detto, è assai più arduo tentare di quantificare le domande rispettivamente attuali e future: data l’estrema frammentazione dei dati pure disponibili, occorrerebbero infatti diverso tempo ed uno studio specifico per pervenire ad una stima sufficientemente attendibile.

La domanda di piante autoctone nelle aree protette della Lombardia.

Volendo fornire qualche elemento in prima istanza in riferimento al territorio ascritto al sistema regionale delle aree protette si possono fare dei riferimenti in base a una recente valutazione desunta dagli acquisti di piante autoctone da parte di un campione di alcuni Parchi regionali.

Per la superficie totale del sistema delle aree protette lombarde (pari a circa 537.356 ettari per quanto concerne solo parchi regionali, riserve naturali, monumenti naturali e quindi al netto delle aree di rilevanza ambientale, per lo più escluse da progetti di gestione, e della pur grande superficie di SIC, ZPS e PLIS ) si valuta una stima di spesa minima totale annua di oltre € 1.500.000 per l’acquisizione di piante autoctone sia legnose che erbacee.

Si consideri che la sola superficie del Sistema Rete Natura 2000 ammonta in Lombardia a 370.000 ettari (in parte sovrapposti alla superficie di parchi e riserve). Si sottolinea che la stima economica espressa non comprende gli oneri degli interventi di compensazione, ripristino e recupero ambientale, etc. sostenuti dai proponenti; parimenti esse non comprendono gli interventi convenzionati, attuati da terzi sotto il controllo e, talora, su progetto dell’ente gestore, e tantomeno le sanzioni accessorie di ripristino o recupero ambientale conseguenti l’accertamento di abusi. L’entità dell’approvvigionamento di materiale vegetale necessario per ottemperare a tali prescrizioni od obblighi di convenzione è spesso di gran lunga superiore a quella dei progetti direttamente realizzati degli enti, nei quali è tra l’altro prescritto l’impiego di materiale vegetale autoctono ecologicamente adatto ai luoghi di intervento.

Si potrebbero citare numerosissimi e ulteriori esempi, dagli interventi di ingegneria naturalistica in montagna o lungo i corsi d’acqua, alla realizzazione di impianti di fitodepurazione, alla costruzione di ambienti di interesse naturalistico ed a limitato sviluppo verticale sotto gli elettrodotti.

La domanda di piante autoctone necessarie al di fuori delle aree protette.

Anche per quanto concerne il fabbisogno di materiali vegetali per interventi di compensazione e ripristino in connessione alla realizzazione di grandi opere di più prossima realizzazione (Brebemi, Pedemontana, opere connesse ad Expo2015) occorrerebbero stime più precise; in particolare, occorrerebbe la disponibilità dei progetti esecutivi, non ancora disponibili ad eccezione di quello per la Brebemi.

Tuttavia una possibile stima è quantificata da AssoFloro Lombardia in un minimo di circa 5 milioni di piante. Allo stato di fatto non si può effettuare una ripartizione in arboree, arbustive ed erbacee.

A questo si può aggiungere la componente legata al mercato delle piante erbacee perenni per l’allestimento di parchi, giardini e aiuole.

Le piante autoctone non presentano infatti solo pregi dal punto di vista naturalistico – ambientale, ma possono essere utilizzate anche a scopo ornamentale sfruttando sia le caratteristiche legate alla produzione di fiori (dimensione, colore, durata, ecc.) e/o altre strutture appariscenti (fogliame, frutti e infruttescenze, ecc.), sia quelle legate al portamento (piante striscianti, coprenti, ecc.) e alle preferenze ecologiche (piante sciafile, elio-xerofile, idrofite, ecc.). Queste osservazioni valgono in misura ancora maggiore se si considera che sul mercato sono già presenti molte varietà derivanti da specie congeneri di quelle autoctone che si vuole qui promuovere (ad es. VincaSedum, SempervivumAnemone pulsatilla, ecc.).

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