Articolo del 11/10/2015 18:06:17 di . . .

Modelli di responsabilità sociale nell’impresa agricola multifunzionale

Categoria: Agricoltura

A cura di Giuseppe Marotta e di Concetta Nazzaro, Facoltà di Scienze Economiche e Aziendali, Università degli Studi del Sannio- Benevento.
Su gentile concessione di AGRIREGIONIEUROPA


Introduzione (1)
Negli ultimi anni, la questione ambientale legata, soprattutto, al tema dei cambiamenti climatici e quella alimentare, relativa alla sicurezza per la salute dei consumatori, hanno portato a importanti cambiamenti nei bisogni dei cittadini-consumatori, negli assetti normativi e istituzionali (policy) e nelle strategie delle imprese.
Le problematiche ambientali e sociali, in una prima fase, sono state fronteggiate sul piano istituzionale, introducendo norme e standard che le imprese hanno affrontato come un costo/vincolo che indeboliva il loro potenziale competitivo. L’agro-alimentare europeo ha reagito a tale situazione esaltando le proprie specificità e caratteristiche, attraverso il consolidamento di un modello agricolo orientato alle qualità distintive e alla multifunzionalità, che assume come riferimento strategico i nuovi e mutevoli bisogni della società.
Successivamente, a partire dall’inizio del primo decennio del XXI secolo, parallelamente alle dinamiche evidenziate, l’Unione Europea ha dato avvio ad una nuova fase. La Commissione Europea, con la pubblicazione del Libro verde (2001) sulla responsabilità sociale delle imprese, ha promosso, infatti, un interessante dibattito politico e scientifico che ha visto maturare un nuovo senso comune, una coscienza collettiva sulla necessità di comportamenti consapevoli e responsabili da parte di tutti gli stakeholder del sistema economico. Ciò, ha contribuito all’affermazione di una nuova vision del fare impresa, nella quale assume centralità la scelta volontaria di integrare nelle strategie produttive e commerciali le preoccupazioni ambientali (come la riduzione delle emissioni CO2 in atmosfera, la produzione di energia da fonti rinnovabili, il mantenimento del paesaggio, ecc.) e sociali (tra cui l’attenzione alle condizioni di lavoro, le discriminazioni di genere e razza, la salvaguardia di valori etici, ecc.) della comunità. L’orientamento alla responsabilità sociale da parte delle imprese apre, così, nuovi orizzonti competitivi, nell’ambito dei quali i valori etici assumono un riferimento strategico fondamentale.
Alla luce di tali prospettive analitiche, il presente lavoro intende contribuire al dibattito teorico economico-agrario, portando l’attenzione sul tema della responsabilità sociale d’impresa, tradizionalmente oggetto di studi aziendalistici, ma che, oggi, l’evoluzione della società e dei mercati pone al centro dell’analisi delle strategie di riposizionamento competitivo anche delle moderne imprese agricole.

Consumo critico e responsabile
Le priorità e le sensibilità dei cittadini-consumatori verso tematiche strettamente connesse al cibo e ai suoi metodi di lavorazione – dall’inquinamento dell’eco-sistema alla perdita della biodiversità, dalle condizioni di allevamento animale alla manipolazione genetica, dalle nuove forme di sfruttamento del lavoro all’aumento delle disuguaglianze sociali – alimentano altrettante nicchie di mercato (social oriented) da soddisfare.
Il consumatore di oggi apprezza stili di vita improntati alla condanna degli sprechi, alla sostenibilità ambientale, a privilegiare prodotti a marchio che si distinguono per una maggiore attenzione alla dimensione etica e valoriale e che forniscono informazioni di tipo credence (2) (Peri, 2006). Modelli di comportamento e stili di vita che neppure gli ultimi fenomeni di crisi economica internazionale, e gli effetti sull’agro-alimentare, sembrano aver indotto il consumatore a rinunciarvi, stando a recenti dati Censis (2011).
È nell’ambito di queste tendenze che si è cominciato a parlare, a inizio secolo, di consumatore neo-soggettivista, definito, di volta in volta, “critico” (nella misura in cui presta attenzione agli aspetti negativi insiti nei modelli di produzione), “responsabile” (orientato a valutare il costo sociale del prodotto che acquista), “consapevole ed etico” (“se ha argomenti altruistici nella sua funzione di utilità”, Maietta, 2004). Un consumatore che va oltre il semplice fine utilitaristico, valutando oltre al prezzo e alla qualità del bene/prodotto, altre componenti, di tipo immateriale, in particolare gli effetti della sua produzione sull’ambiente e sulle persone.
Pertanto, pur muovendosi su piani diversi, il consumo consapevole e responsabile rappresenta una evoluzione di quello critico, ed entrambi sono basati non sul rispetto di criteri prestabiliti, ma sull’abitudine a porsi delle domande prima di scegliere un prodotto.
Si viene, così, delineando un nuovo modello di cittadino-consumatore (consapevole e responsabile), che attribuisce alle sue scelte economiche una valenza diversa rispetto al vecchio modello di cliente-consumatore. Per questa nuova figura, perciò, il concetto di qualità di beni e servizi assume significati nuovi e include anche la qualità etica e la responsabilità sociale dell’impresa produttrice.
In questo modo, l’internalizzazione di aspetti prettamente etici nella funzione obiettivo dell’impresa, che rappresenta il punto di incontro dei multi-stakeholders ai diversi livelli, da un lato, e l’esigenza, per la sua stessa sopravvivenza e sviluppo, di aderire alle aspettative della comunità in cui opera, dall’altro,orientano l’impresa ad adottare scelte socialmente responsabili e il cittadino-consumatore, «stakeholder fondamentale del sistema di consumo, è uno dei più importanti soggetti di stimolo e controllo alla responsabilità sociale d’impresa» (Commissione Europea, 2001:6). In quest’ottica, la responsabilità sociale (RS) viene assunta dalle imprese come elemento importante di nuove forme di governance, in grado di sostenerle nell’affrontare i processi di cambiamento in atto, più volte richiamati in precedenza.

Responsabilità sociale d’impresa
Il concetto di responsabilità sociale d’impresa (Corporate Social Responsibility) è definito nel Libro verde (2001) come «l’integrazione volontaria delle problematiche sociali ed ecologiche nelle operazioni commerciali e nei rapporti delle imprese con le parti interessate», quindi, «essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici, ma andare oltre, investendo di più nel capitale umano e nell’ambiente» (Commissione europea, 2001:6). Con questa definizione la Commissione Europea lancia il dibattito (3), a livello europeo e internazionale, sul tema della responsabilità sociale d’impresa (Rsi), portando alla definizione di un nuovo quadro di riferimento per il sistema imprenditoriale. In realtà, il dibattito prende avvio dalle Conclusioni del Consiglio Europeo di Lisbona (2000) in cui si riconosce la necessità di accompagnare la crescita economica sostenibile ad «un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e a una maggiore coesione sociale», introducendo un elemento importante nella valutazione delle azioni di RS, ovvero il contributo che esse possono dare alla realizzazione di una più equa coesione sociale.
Nonostante la letteratura sulla RS si faccia risalire agli anni Sessanta del secolo scorso (Davis, 1960; Frederick, 1960; McGuire, 1963), con sviluppi e avanzamenti nei decenni successivi, sarà solo a partire dagli anni Novanta che assisteremo ad una significativa evoluzione teorica in materia, soprattutto grazie ai contributi di Carroll (2009), Maon et al. (2009), Du et al. (2010), volendo citare solo i principali (4).
A oggi, data la mole degli studi sul tema, non abbiamo una definizione univoca, unanimemente accolta di Rsi (5), ma una delle definizioni che ha ricevuto maggiori consensi è quella proposta da Carroll, in base alla quale “the social responsibility of business encompasses the economic, legal, ethical and discretionary [later referred to as philantropic] expectations that society has of organizations at a given point in time” (Carroll, 1979, p. 500; 1991, p. 283).
Negli ultimi anni anche in ambito economico-agrario, a livello nazionale, è stata sviluppata una significativa attenzione al tema della Rsi (Di Iacovo, Senni, 2005; Di Iacovo, 2007; Briamonte, Hinna, 2008; Peri, 2008; Inea, 2010; Pulina, 2010), dandone letture diverse e complementari.
Il dibattito politico, europeo e nazionale, ha affrontato in maniera più sistematica il tema della responsabilità sociale d’impresa, sulla spinta del Libro verde (2001) e della Comunicazione CE (2002), come contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile, nonché della Risoluzione del Parlamento Europeo (2007) sulla creazione di un nuovo partenariato per favorire pratiche socialmente responsabili. Tale dibattito ha accolto in maniera unanime la definizione, riaffermata e rivisitata da Molteni (2003, 2004), secondo cui la Rsi va interpretata come «tensione dell’impresa – e in primis dei vertici aziendali – volta a soddisfare in misura crescente, al di là degli obblighi di legge, le legittime attese sociali e ambientali, oltre che economiche, dei vari portatori di interesse interni ed esterni mediante lo svolgimento delle proprie attività», collocandola «nello spazio dei comportamenti non esigibili per norma» (spazio etico), (Hinna, 2010, p. 47). In questo senso, la responsabilità sociale è una pratica che le imprese mettono in atto su base volontaria e rispetto alla quale non sussistono obblighi giuridici o formali (Briamonte, 2010), inducendo ciò a riconoscere l’esistenza di strumenti di azione e di autoregolamentazione di natura volontaria e non vincolante. In questa direzione, le principali funzioni di un’impresa consistono nel creare valore attraverso la produzione di beni e servizi richiesti dalla società, generando, nello stesso tempo, profitti interni e benefici esterni, nell’ambito di un concetto di benessere durevole (shareholder value), non perseguibile massimizzando i profitti a breve termine, ma adottando comportamenti socialmente responsabili.
In realtà, dall’inizio del secolo a oggi è stato possibile constatare una evoluzione del modo di concepire la RS da parte dell’impresa, che ha portato a interpretarla come nuovo comportamento strategico al centro del processo di innovazione aziendale.
La Rsi è una strategia di sviluppo competitivo che fa leva sull’idea che le imprese possano farsi carico di bisogni sociali più ampi, andando oltre la sola sfera economica. L’adozione di pratiche di Rsi ha natura volontaria e discrezionale (Carroll e Shabana, 2010), è condizionata dalla necessità di apprendere dall’interazione tra impresa e contesto operativo (ambiente esterno) e impone l’assunzione di alcuni costi, tra cui quelli conseguenti all’aumento degli investimenti, al maggiore impiego di risorse aziendali, alla limitazione delle scelte strategiche percorribili (Di Iacovo, 2007). I vantaggi riguardano un aumento dello stock di risorse intangibili aziendali (capitale umano e relazionale) ed extra-aziendali (riconoscibilità, fruizione, appartenenza) che creano/migliorano il capitale reputazionale (6) e (ri)posizionano l’impresa rispetto ai competitor, determinando vantaggi duraturi (7).

Responsabilità sociale in agricoltura: l’impresa agricola multifunzionale e multi-valore
Il passaggio graduale dai modelli tradizionali di agricoltura a quelli orientati alla responsabilità sociale è avvenuto nell’impresa agricola attraverso la multifunzionalità, grazie alla quale essa oggi svolge funzioni sociali sempre più riconducibili a modelli etici e di welfare.
La multifunzionalità, permettendo di produrre congiuntamente alle attività produttive, primarie e secondarie, esternalità positive/beni pubblici, ha fatto maturare una nuova visione imprenditoriale rispetto alle questioni ambiente e sicurezza alimentare, internalizzate nelle attività produttive come risorsa/opportunità (8), nell’ambito di una generale nuova attenzione dell’impresa non più (solo) al consumatore ma (anche) alla società (Marotta 2006).
La moderna impresa agricola multifunzionale si configura come una realtà produttiva complessa, orientata al mercato e a rispondere alle domande consapevoli e responsabili del cittadino-consumatore, attraverso la produzione di:

Market outputs che le consentono di:
 conservare il core business (prodotti tradizionali);
 implementare strategie di adattamento funzionale (boundary shift);
 internalizzare la produzione di energia, attraverso l’utilizzo sia di risorse naturali rinnovabili (impianti di eolico e fotovoltaico) che di reflui produttivi (microimpianti di biogas e biomassa);

Non market outputs, ovvero esternalità positive (beni pubblici) “localizzate” (Mollard, 2002), attraverso le quali è possibile:
 mantenere e recuperare gli spazi paesaggistici;
 tutelare le risorse naturali e ambientali;
 produrre salute;
 promuovere valori etici.

La diversificazione/differenziazione produttiva dell’impresa, avvicinando i cittadini-consumatori che scelgono comportamenti di acquisto consapevoli e responsabili, praticabili di preferenza attraverso esperienze di contatto diretto con l’azienda (filiera corta, eco-spesa, agriturismo, fattoria didattica, ecc.), permette loro di vivere la realtà produttiva e di fruire dei beni pubblici (esternalità positive localizzate) congiuntamente ai prodotti e servizi offerti. In tal modo, come in un circolo virtuoso, aumenta anche la willingness to pay dei consumatori, i quali «sono disposti a riconoscere un premium price ai beni e servizi acquistati (tradeable), in quanto questi incorporano il valore dei beni pubblici immateriali presenti nel contesto aziendale» (Marotta, Nazzaro, 2010, 2011a, 2012). In ragione di ciò, il boundary shift, quando è orientato a portare i cittadini-consumatori in azienda (agriturismo, fattorie didattiche, vendita in azienda, care farms, ecc.), diventa lo strumento che permette di internalizzare nel mercato il valore commerciale delle esternalità positive, creando per esse forme di “commerciabilità implicita” (Casini, 2003; Brunori et al., 2005; Idda et al., 2005; Marangon, 2006; Marotta, Nazzaro 2010, 2011a, 2012) (9).
Ciascuno dei beni e servizi prodotti in azienda è l’esito di un modello di governance, organizzato su filiere (lunghe e/o corte) e su territori, che generadifferenti value chain che compongono il “portafoglio di valori” (10) (PV) dell’impresa agricola multifunzionale, definito come «l’insieme dei valori materiali e immateriali creati dall’impresa, su cui essa costruisce il suo posizionamento di mercato e il suo ruolo sociale» (Marotta, Nazzaro, 2012, 2012a).
Nel nostro modello interpretativo, che considera l’azienda agricola multifunzionale come un insieme di strutture di governance che creano valore multidimensionale, l’orientamento alla responsabilità sociale, come spazio etico dei comportamenti d’impresa, diventa fattore strategico competitivo che consente di produrre “qualità distintive” e accumulare capitale reputazionale. Determinante strategica di questo rinnovato modello di impresa agricola multifunzionale e multi-valore sarà perciò il capitale imprenditoriale, ovvero i modelli di entrepreneurship, variabile fondamentale per gestire le diverse value chain e le relative strutture di governance e, dunque, i processi di creazione e accumulazione di valore. La qualità del capitale imprenditoriale agirà anche sulle quattro famiglie di variabili (risorse interne all’impresa, mercato, territorio, politiche) che determinano la struttura e la composizione del portafoglio di valori (Marotta, Nazzaro, 2010, 2011a,b, 2012).

Considerazioni conclusive
Il modello teorico, discusso sinteticamente in questa sede, presenta significative potenzialità e implicazioni scientifiche e politiche. Sul piano scientifico, in termini di capacità di interpretazione dei processi di trasformazione resiliente in atto nelle imprese agricole multifunzionali, messi in campo per rispondere alle domande consapevoli e responsabili emergenti nelle società avanzate; sul piano politico, fornisce utili indicazioni a supporto dei decision maker di settore.
Nel passaggio alla multifunzionalità e alla responsabilità sociale, le strategie competitive che le imprese, oggetto di studio, mettono in atto, cambiano in maniera significativa. Infatti, nell’impresa agricola tradizionale la sostenibilità e la tutela del consumatore sono interpretate come sfide economiche da fronteggiare e la competitività si basa unicamente su strategie di differenziazione dei prodotti. Siamo in un contesto in cui il valore economico (profitto) è anteposto al valore etico (bene sociale). Il passaggio alla nuova fase (responsabilità sociale), nell’ambito di rinnovati comportamenti strategici degli attori imprenditoriali, in risposta a bisogni dei cittadini-consumatori e della società, consente una reinterpretazione della sostenibilità e della tutela del consumatore, assunte a fattori/leve competitive.
In questa direzione, le nuove strategie competitive basate sulla differenziazione dei processi produttivi e orientate al perseguimento di valori etici, propongono nuovi modelli di impresa “distintiva”. Ed è proprio la distintività etica che nasce dalle differenze (valoriali) e le rende fruibili a essere assunta a strategia competitiva dei paesi avanzati per fronteggiare il dumping ambientale e sociale indotto dalla globalizzazione, consentendo di rivalutare l’importanza dei mercati locali/nazionali e vincere le sfide globali.
Tali ipotesi interpretative aprono anche a nuovi filoni di approfondimento teorico e metodologico, utili a valutare le performance dell’impresa agricola multifunzionale socialmente responsabile, ad esempio, attraverso la definizione di indicatori che consentano di rendere ottimali le strategie competitive e il riposizionamento su nuovi mercati.

Note
(1) Gli autori ringraziano gli Anonimi Referees per gli utili suggerimenti forniti.
(2) Diventa, perciò, strategica l’innovazione di prodotto legata ad una serie di attributi (sicurezza, valore, processo, nutrizione e packaging), (Hooker e Caswell, 1996; Jaeger, 2006), che incidono sulla scelta del consumatore.
(3) Per la verità un primo riferimento ai principi di RS è già contenuto nel Libro bianco di Delors su crescita, competitività e innovazione, dove si accenna, anche se in maniera ancora molto cauta e poco esplicita, al rispetto dei valori etici (Com (700) 1993).
(4) Per una analisi abbastanza completa degli approcci teorici alla RS si veda Marotta, Nazzaro (2012a).
(5) L’ampia letteratura sul tema ha proposto, nel corso degli anni, circa 37 definizioni di Rsi come riferito da Dahlsrud (2006) che vanno dall’etica d’impresa, allo sviluppo sostenibile, agli stakeholder, al triple bottom line, alla voluntariness, riconducibili, quasi tutte, ad un concetto di RS come spazio volontario dell’etica.
(6) L’aumento e/o la creazione di capitale reputazionale dipende dalle capacità comunicative dell’impresa, ovvero il passaggio dall’immagine (brand) alla reputazione dipende dalla bontà delle strategie che comunicano la Rsi all’esterno.
(7) Ciò significa che le pratiche di RS creano circoli virtuosi che rafforzano le motivazioni, interne ed esterne, fino ad accrescere il capitale reputazionale dell’impresa e la sua visibilità sui mercati.
(8) Anche se permane il problema degli elevati costi interni e di gestione legati all’implementazione degli strumenti di controllo ambientale e alimentare.
(9) Su questi temi e sulle nuove frontiere di creazione di valore del moderno modello di impresa agricola multifunzionale, reinterpretata, si rimanda a lavori specifici di Marotta, Nazzaro, (2010, 2011).
(10) Il paradigma del “portafoglio di valori” (valore globale), proposto dagli autori in diversi contributi (2010, 2011a, b, 2012a, b) ai quali si rimanda per eventuali approfondimenti, deriva dalla sommatoria delle diverse value chains (catene di attività/valore) attivabili dall’impresa.

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